Il resto lo leggerete domani, penso, su tutti i giornali, visto che critici e giornalisti vari sono stati poi invitati a una conferenza stanpa, dove l'amico regista irradiava gioia e intelligenza. Una cosa sola tra le tante voglio ricordare, detta da Bernardo Bertolucci in risposta a una domanda sull'uso del 3D, prima ventilato e poi abbandonato dopo alcuni provini (“Il 3D rallenta enormemente le riprese, io ho tempi più veloci quando giro”) per tornare al vecchio 35 millimetri. La cosiddetta definizione non è tutto, ha detto dopo avere raccontato i tentativi fatti anche col digitale. Mi sembra una posizione poetica importante. La retorica della "definizione" mi ha fatto pensare a quella sulla comunicazione di questi ultimi anni di vertiginose innovazioni tecnologiche: a cosa serve poter comunicare così bene se non si riesce ad avere nulla da dire? - che in questo caso diventa: a cosa serve definire così "altamente", perfettamente, se non c'è niente da vedere, e se di ciò che è importante non si riesce più a vedere niente? "Cinema", mi ha detto più di una volta Bernardo Bertolucci, "vuol dire aprire gli occhi"...
(Il film lo vedremo tutti a maggio dell'anno prossimo. Qui di seguito, il pezzo che Stefania Scateni de l'Unità, che era con me oggi, ha scritto per il giornale di domani (se alcune parole coincidono con le mie, è perché ne abbiamo parlato assieme. Buona lettura).
"Il luogo è magico, non solo come sempre sono i set dei film durante le pause delle riprese, come scenografie di un teatro pirandellianamente vuoto, col tempo sospeso. Ma perché le caratteristiche del luogo rendono speciale: il labirintico studio senza finestre dell’artista Sandro Chia, a due passi dall’Orto botanico di Roma, trasformato nella cantina dove si rifugia il protagonista (come nel romanzo di Niccolò Ammaniti da cui è tratto il film...), con sofà semisfondati, vecchi mobili ammucchiati, attrezzi di ferramenta e biciclette dismesse. Alla fine del tour, ecco alla magia aggiungersi la naturalezza di un miracolo: «Soltanto un anno fa non avrei pensato di fare un altro film e ora che sono terminate le riprese di Io e te mi sembra incredibile essere qui, seduto sulla mia sedia elettrica, come chiamo la sedia a rotelle, a parlare di un nuovo film. Eppure allo stesso tempo lo sento come un’assoluta normalità».
"Bernardo Bertolucci è radioso, e ha di nuovo il cappello a falde larghe sulla testa, amuleto e riparo (anche fisico, come poco prima confidava a un amico) durante la lavorazione di tutti i suoi film. Erano dieci anni che non lo indossava, tanti quanto è durata la sua pausa di regista. Ed è deciso a tenerlo in allenamento quel cappello. «Oltre a montare Io e te, le prossime settimane e i prossimi mesi saranno tutti alla ricerca di cosa fare subito dopo», annuncia in conferenza stampa.
"Parla dal set del suo nuovo film, la cantina «di» Lorenzo, il quattordicenne protagonista della storia. Ancora l’adolescenza negli interessi del regista, fase della vita in continuo cambiamento, «materiale umano che va catturato in quel momento altrimenti sfugge». Le meravigliose e poderose potenzialità dell’esistenza impongono il caleidoscopio di un’età che seduce Bertolucci da tempo. «Resisto poco quando si parla di adolescenti in crescita. Il passare del tempo in quell’età è per me una cosa irresistibile», dice il regista di Io ballo da sola, The Dreamers. E il perché, lo spiega citando versi di un Rimbaud quindicenne: «A diciassett'anni non si può esser seri.(…) /Te ne vai sotto i verdi tigli a passeggiare».
"Ma non dev’essere stata una passeggiata l’esperienza dei due: Jacopo Olmo Antinori, alla sua prima esperienza cinematografica nei panni di Lorenzo, e Tea Falco, fotografa e videoartista, nel ruolo della sorella Olivia. «Li vampirizzo», scherza Bertolucci, spiegando che nel lavoro è attratto dalla vita intima degli attori, dal carattere, dal loro bagaglio, desideri, segreti: un apporto di umanità che nutre i personaggi del film.
"Il lavoro con il Maestro, quindi, può avere un effetto terapeutico secondario. Traspare dai brevi e appassionati interventi dei due protagonisti. Appassionato quello di Tea Falco, e evidente pur se emozionato quello di Jacopo Olmo Antinori: «Mi ritengo molto fortunato: sono qui per caso ma non per caso». La storia di svolge a Roma quasi tutta in interni (la cantina, appunto); i pochi esterni sono stati girati nei quartieri Parioli, Prati e delle Vittorie. Lorenzo, solitario e problematico come tutti gli adolescenti, si rifugia in cantina facendo credere ai genitori di essere partito per la settimana bianca. Vuole stare in perfetta solitudine, dimenticare almeno per qualche giorno le regole del mondo. L’arrivo della sorellastra, 10 anni più di lui, tossica, ribelle, vitalissima sconvolgerà tutti i suoi piani. Io e te, iniziato di girare in ottobre, sarà pronto a maggio, si dice l’11, forse in tempo per il Festival di Cannes. Il film era stato annunciato in 3D, ma Bertolucci ha abbandonato il progetto: «Il processo delle riprese in 3D è incredibilmente lento, mentre io ho tempi molto più veloci quando giro. Ho anche esplorato il digitale ma mi sono imbattuto nella sconcertante e diabolica definizione di questa tecnologia, che non permette di realizzare alcuna tentazione impressionistica. È curioso: ho ricercato la definizione delle immagini per tutta la vita e poi, nel momento in cui l’ho trovata in maniera assoluta, non mi interessa più»."
Stefania Scateni
2 commenti:
ecco a cosa serve un cappello a falde larghe, non ci avevo mai pensato. mi sa che me ne compro uno anche io, anzi rispolvero il mio, marrone anch'esso
ciao
sergio
eheh...
Posta un commento