7/11/2010

"Spazzatour": reportage dall'olocausto bianco dei rifiuti

Napoli. Sto percorrendo, dopo la cosiddetta Via degli Americani, l’Asse Mediano: una periferia continua, fitta di traffico. Da una parte smisurati cartelloni pubblicitari che non fanno vedere niente, una sopraelevata nel mezzo, e dall’altra incongrue villette e ristoranti per matrimoni con vista su auto e camion. Ho passato la mattina a spiare vertiginose discariche presidiate da militari, e sono diretto ora al settore monumentale dei rifiuti, la distesa di ecoballe che svettano in ciò che resta delle campagne napoletane. Ma è la normale bruttezza di queste strade senz’anima ora a turbarmi. E’ la terra dei fuochi descritta anche da Saviano nell’ultimo spaventoso capitolo di Gomorra. Di notte, qui, si alzano fumi densi e neri, accesi dai ragazzi rom, pagati per incendiare. I pneumatici, che la Campania paradossalmente importa con i camion, servono ad attutire le esplosioni dei solventi chimici.
La mia nuova guida, Pina Elmo, della “Rete campana Salute e ambiente”, mi racconta le lunghe lotte per fermare i Tir carichi di svariati rifiuti: arresti, pestaggi. L’appuntamento con lei era nello sterminato parcheggio di una serie di supermercati, una distesa di catrame e cemento a coprire - lo sanno tutti - strati di rifiuti, quindi ottenere altra terra e materiali di risulta per coprire altre discariche e così via, nel ciclo continuo di affari della camorra. Del resto lo si impara subito, come un’evidenza: supermercato e discarica sono l’uno il riflesso dell’altra, si specchiano e si rivelano a vicenda come una stessa materia, un’unica logica.
Poi svoltiamo a sinistra, e tra i cumuli di rifiuti e detriti sul ciglio della strada emerge una prostituta nera quasi bambina. Cosa fra le cose, vita dismessa, come i gruppi di africani che stagnano in attesa di un lavoro (magari nei campi inquinati di pomodori), immagine di una diversa prostituzione. Ci siamo. La chiamano anche “l’Ottava meraviglia”: sembrano installazioni, monoliti avvolti da plastiche nere nella campagna verde, separati da noi da un muretto sottile e una rete. Sono le gigantesche ecoballe, totem o dolmen che comunicano sgomento. Due chilometri quadrati di parallelepipedi neri che trattengono materiali tossici, veleni industriali e rifiuti urbani, di cui solo metà è sotto sequestro giudiziario. Tutt’intorno alberi di pesche mature, le pregiate percoche, ignare che il percolato che impregna ormai la terra raggiunga la loro linfa. Cani che abbaiano, guardiani in divisa oltre la rete a sorvegliare milioni di tonnellate di veleni che valgono oro per l’industria fasulla dello smaltimento. Perché nessuno, tanto meno la Impregilo, l’onnipresente azienda che domina e determina ogni politica dei rifiuti, è ormai in grado di farlo. Il resto di questa campagna, anche quando non si vede, è foderato da anni di sversamenti di rifiuti delle industrie del nord che alimentano i tumori. Gli impianti di Cdr (“combustibile da rifiuti”, ora declassati a “tritarifiuti”) confinano qui con le fragole. Chi non voleva più vedere la spazzatura sotto le finestre di città è stato esaudito dalla bacchetta magica, anzi militare, del governo. Pazienza che torni loro in altre forme. Nella frutta sul tavolo della cucina, per esempio. Nelle nanoparticelle diffuse dai fumi densi degli incendi.

Circa un mese fa la Commissione petizioni del Parlamento europeo (una socialista olandese, una verde danese, un conservatore tedesco) si recò a Napoli a verificare la “soluzione” alla crisi dei rifiuti. Quando Judith Merkies, capodelegazione, in stivaloni e guanti nella discarica di Terzigno, estrasse un pneumatico dicendo “questo non dovrebbe essere qui”, fu chiaro anche a loro che la soluzione all’emergenza era un bluff. La visita fu per i tre deputati uno shock politico e culturale: discariche sorvegliate come basi dell’esercito, inosservanza delle regole europee sull’impatto ambientale, assenza di trasparenza e consultazione degli abitanti. E nessuna strategia, nessuna rete di impianti per il riciclo e il compostaggio, null’altro che scavare buche, stoccare ecoballe sotto il cielo nella campagna agricola, gridare all’emergenza per avere mano libera nel militarizzare il territorio. Quando sono andato anch’io a vedere la discarica di Terzigno, alle falde del Vesuvio, nel cuore del parco nazionale, era appena stato arrestato un ragazzo sorpreso a filmare all’ingresso principale. Mi hanno guidato Mariella Tafuto, Elena Velussi, Anna Fava e Sabina Laddaga, volontarie del “CoReRi” (Coordinamento regionale rifiuti). La famosa emergenza rifiuti di Napoli era ed è “un marketing terroristico”, mi dicono mentre ci inoltriamo in un paesaggio di vigne e oliveti da cui viene la Falanghina del Vesuvio e il Lacrima Christi. La discarica (già cava di pietra lavica) è segnalata da stormi di gabbiani che svolazzano. Profonda un’ottantina di metri, è un cono rovesciato come l’Inferno di Dante, ma pieno di rifiuti, i dannati della materia. Passiamo dal retro. Cartelli militari avvertono: Zona di interesse strategico nazionale. Vietato l’ingresso.
“Gli abitanti non possono accedere ai dati – mi ripetono le guide – né sapere cosa viene messo negli impianti. Nessun controllo, anzi una sospensione dei diritti, e perfino un tribunale speciale per la Campania, una super-procura che accentra ogni denuncia e inchiesta nel settore ambientale (Legge 123). Ogni atto che qui avviene in materia di rifiuti è in deroga ai diritti costituzionali. Oltre al fatto che le strutture tecniche, le persone che firmano le ordinanze sono le stesse di sempre, anche quelle compromesse coi clan. O come Marta De Gennaro, responsabile del settore sanitario della Protezione civile, arrestata e inquisita nel 2008 col vice di Bertolaso per avere occultato rifiuti pericolosi, poi promossa a gestire il terremoto a l’Aquila”. Nella gestione governativa dei rifiuti c’è continuità con metodi e persone della camorra. “La camorra prima scava una voragine, ne usa i materiali e vi sversa i rifiuti tossici; la zona viene sequestrata e il governo vi mette i rifiuti urbani che coprono ogni prova”. (Prima della militarizzazione dei siti, alcune discariche vennero chiuse grazie alle denunce dei cittadini. Ora tutto è secretato).
Intorno a noi eucalipti, fiori, limoni, vigne. Dietro il muro grigio e il reticolato il cratere che diffonde il fetore. Lo osservo arrampicandomi: un inferno nell’oasi, cosparso di detriti biancastri come i gabbiani, che ruspe e camion non riescono del tutto a interrare. La Cava Vitiello, lì vicino, è stata scelta dal governo come prossima discarica, anche se il signor Vitiello (come l’Unione Europea) si indigna all’idea. Ma a fianco del campo da calcio panoramico di sua proprietà, col Vesuvio da una parte e i monti dietro cui c’è Sorrento dall’altra, una serie di silos che raccolgono percolato produce un rombo sinistro e costante. In questo parco naturale ai contadini è proibito erigere un muretto a secco o una rete per conigli, ma non silos e discariche.
Abbiamo proseguito il viaggio alla discarica di Chiaiano, già paradiso delle ciliegie, con tanto di sagra. Attraversato un pruneto, ci siamo fermati e affacciati sul vuoto: un immenso buco in cui strati di amianto triturato sono stati coperti da tonnellate di nuovi rifiuti. Un’altra discarica abusiva ufficializzata dal governo, a poca distanza dagli ospedali. Anche qui volteggiano i gabbiani, portatori d’inquinamento con le loro deiezioni.

Più tardi, nel pomeriggio inoltrato, l’ultima tappa di questo “spazzatour” è nel casertano, la cui terra riconosciuta come la più feconda del pianeta, vera e propria fabbrica di cibo, è ridotta quasi a un’immensa discarica. Mi conduce l’agronomo e ricercatore, già combattivo vicesindaco di Caserta, Giuseppe Messina. Mi parla dell’aumento in Italia della desertizzazione, dovuta al cattivo uso del suolo. L’anno d’inizio della discesa agli inferi è il 1997, da quando per contratto la Fibe-Impregilo (di proprietà della Fiat) è diventata proprietaria dei rifiuti, esautorando gli Enti locali. Esistono tecnologie in grado di riciclare completamente i rifiuti, ma se l’imprenditore è pagato per bruciare, ha un piano solo per bruciare, non per pensare soluzioni europee, avanzate, che tutelino l’ambiente, l’agricoltura, la salute. I parametri sono già curvati secondo interessi prestabiliti: il Conai per esempio (Consorzio nazionale imballaggi), che smaltisce bruciandole il 45% delle plastiche da raccolte differenziate in Italia, e guadagna sia nella produzione che nello smaltimento, non perora certo una riduzione degli imballaggi nella merce, ma incoraggia l’usa-e-getta. Come mi spiegavano Elena e Anna al mattino, “occorre superare la nozione di rifiuto. Parliamo invece di materia come risorsa, non come rifiuto. Nessuno investirà sul riciclo finché sono così forti gli altri interessi”.
Ci fermiamo quindi nel triangolo della morte, ultimo girone, a poche centinaia di metri da Casal di Principe: Parco Saurini, S. Tammaro, Ferrandelle. Ogni rilievo, ogni collina (ce ne sono tante) racchiude una discarica interrata, su cui crescono cespugli giallastri. Ma ce ne sono altre speciali, incredibili: montagne incolori, ecoballe di rifiuti senza neanche la plastica, denudate e impudiche sotto un impietoso cielo azzurro. Quelle che Bertolaso aveva dichiarato di avere eliminato, che nessun manto vegetale ricopre. Come se l’esplosione finale al rallentatore di Zabriskie Point si fosse adagiata e ricomposta in colline compatte, incollando ogni frammento. Una marmellata biancastra e fetida punteggiata di plastiche sbiadite. Otto milioni di tonnellate di rifiuti esibiti a pochi metri da coltivazioni, allevamenti di bufale, vecchi caseifici. Terreni generosi che valevano anche 200.000 euro all’ettaro, e ora non valgono più niente, se non per chi ne ricaverebbe altre discariche a cielo aperto. A poche centinaia di metri giacciono impianti per il compostaggio inutilizzati e boicottati. Anche qui, il solito cartello etichetta le montagne di veleno che chiunque può toccare: Area di Interesse Stategico Nazionale. Divieto di accesso. Ai piedi del cartello un flacone di Vernel, l’ammorbidente. Mi stordisce l’idea di qualcuno che ha cura di ammorbidire il bucato ma è incurante di avvelenare la terra, cieco a ogni relazione tra i suoi gesti.

Quando più tardi percorro a senso inverso la desolata e rumorosa “terra dei fuochi”, la quotidiana abitudine alla bruttezza dove tutto ha inizio, dentro di me ripercorro il senso di questo reportage: sono i rifiuti la nostra nuova frontiera del Sacro, indissolubile dal Potere. Se “sacrare” qualcosa o qualcuno vuol dire separarlo dall’uso comune, dalla vita, noi ci siamo affacciati sulle discariche con terrore e tremore come su crateri di vulcani attivi, abbiamo contemplato le ecoballe come temibili fascinosi templi, e gli altari incolori, disgustosi e ipnotici che rendono alieno ciò che è stato nostro, separato per sempre, come la bottiglia di Vernel. Culmine della nostra alienazione, divinizziamo ciò che di noi non riconosciamo più, ma a cui sacrifichiamo tutto. “E’ un olocausto bianco”, mi aveva detto Mariella, una delle mie guide, invitandomi qui. Ma ciò che accade da anni in Campania non è che un laboratorio di quello che succederà, e sta anzi già succedendo, nel resto dell’Italia.


(uscito su Venerdì di Repubblica in data 9/7/2010, in edicola oggi, domenica 11 luglio)

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so commentare tanta bruttezza, tanta crudele idiozia e perversione di annientamento se non esprimendo assoluta angoscia.
Serena Galié

Beppe Sebaste ha detto...

è così anche per me, salvo che questa pulsione di morte, di annientamento come dici tu, che secondo me è comune al berlusconismo delle tv ecc. (ne ho parlato spesso, paragonandolo al punk del "no future") e alla camorra (ne ha parlato saviano) va detta, denunciata, ridetta...

Angelo Ferrillo ha detto...

La Terra dei Fuochi - Forum

http://www.facebook.com/LaTerraDeiFuochi

La Terra dei Fuochi - Video Denunce
http://www.laterradeifuochi.it

flavia ha detto...

Leggo questo post, non come l'ennesima denuncia di uno scandalo, ma come un messaggio di speranza : quanti posti di lavoro porterebbero il riciclo di questa "materia prima", che in piena crisi rifiuti nel 2009 hanno spedito a due passi da me in Germania,ad Eisenach ...?
Ma a Pomigliano vogliono installare la produzione della Panda, ed i sindacati vengono sostenuti da una sinistra vetusta, che non sa guardare la realtà che la circonda. Sono oriunda napoletana : Eduardo,"Napoli 1944",Curzio Malaparte, Ermanno Rea,La Capria....e poi Gomorra... basta, basta , basta :
A cinquant'anni ascolto e leggo denunce da almeno 30 anni in Italia. La nostra società ha perso cosi' ogni punto di repere e spalancato la porta al populismo ed all'affarismo di destra nell'impotenza ed indolenza degli intellettuali che non hanno saputo prendere posizioni chiare e ferme, come constato per esempio in Francia, dove si ha il coraggio di dibattere pubblicamente in trasmissioni pacate ed informative e non "denuncia" come Anno Zero, ed il nostro Michele nazionale sulla breccia da vent'anni oramia a colpi di scandali, e pagato la sciocchezzuola di milioni di euro...Basta. Aspettiamo di toccare il fondo, è l'unica speranza di risalire. Qual'è il fondo? Un bel giorno in Italia sarà superfluo votare. Sarà inutile crearsi una opinione, ed inutile sarà cercare la libertà o la civiltà per la quale nessuno lotta già da tempo nel nostro paese.

Anonimo ha detto...

Articolo bellissimo, Beppe. Paradossale e triste che esso nasca da tanto orrore visivo.
francesco pontorno

Anonimo ha detto...

che poi è spesso così... grazie francesco. grazia flavia della speranza...
(beppe)

MariellaT ha detto...

Ciao Beppe, sono rientrata poco fa e ho riletto il tuo reportage. Non riesco a commentare al momento, sono stanca e ho ancora negli occhi i vigneti e gli uliveti della Palermo-Sciacca. Non avevo idea che la Sicilia somigliasse all'Umbria, in quella zona, ne sono rimasta piacevolmente sorpresa. Invece non sono rimasta sorpresa dal fatto che tu sia riuscito a dar voce alla catastrofe ambientale campana e a trarne motivi di riflessione sul futuro che ci attende: non avevo dubbi in proposito. Solo sono stata felice di averlo intuito in anticipo, che tu avresti potuto. Più che intuito lo avevo capito dopo aver letto "Panchine" e "Oggetti smarriti e altre apparizioni". E adesso che leggo "HP, l'ultimo autista di Lady D." mi dico che vabbuò, era facile 'predire' che tu sapevi 'cuntare' e che su di te si poteva contare. Non sei un giornalista, no. Mi piacerebbe vedere le foto. Mi sono risparmiata gran parte dell'orrore che descrivi, a volte mi dico che non è giusto ...

Anonimo ha detto...

cara mariella, grazie di tutto, davvero. Non dimentico che mi hai invitato tu, con arte, a fare visita a questi luoghi. Con arte significa soprattutto con passione, con la quale mi hai persuaso. Passione che contiene dolore, quello verso lo scempio. Scempio ad esempio anche nei confronti delle percoche, le bellissime pesche (malate) che pure mi hai mostrato. Ciao,
beppe

Anonimo ha detto...

grazie ad articoli come questo si riesce a far sentire la voce dei cittadini che protestano da mesi per lo scempio di un parco nazionale e per il disagio di 50.000 persone che vivono con la puzza nauseante della discarica nel caldo asfissiante dell'afa.
sulle battaglie dei citatdini vesuviani:
http://www.vesuvioinlotta.blogspot.com/
http://www.comibosco.blogspot.com/
Peppe

Beppe Sebaste ha detto...

grazie

Anonimo ha detto...

Sono desolata. Grazie per informarci così dettagliatamente su questi fatti.