Una cupola
trasparente e infrangibile isola una perfetta cittadina americana e tutti i
suoi abitanti. Ecco, vedendo Under the
Dome, capolavoro di Stephen King sceneggiato da Brian K. Vaughan, già
rinomato autore di parecchie puntate di Lost,
viene in mente l’aforisma di Ludwig Wittgenstein: “Filosofia è insegnare alla
mosca a uscire dal bicchiere”. La mosca siamo noi umani, e il fatto che la
cupola sia di materiale ignoto e inattaccabile dalle bombe e tecnologie più
sofisticate, aggiunge un elemento di trascendenza e mistero a una storia
essenzialmente politica. Con tanto di
dittatore e partigiani.
La storia è così
potente e corale che la serie tv prodotta da Spielberg (in Italia trasmessa da
Rai Due) è virtualmente infinita. Inizia con la descrizione dei primi effetti
della cupola calata improvvisamente a Chester’s Mill, un terso mattino d’estate:
dalla silenziosa decapitazione di una marmotta agli schianti contro il nulla
trasparente di un aereo e di un camion. Ma il cuore è la narrazione quasi didascalica
di come si forma una dittatura. L’alieno è uno di noi, e i peggiori regimi
della Storia sono creati da autoctoni, non da barbari o extracomunitari. Così,
mentre nel mondo fuori dalla cupola continua la vita di sempre, nel mondo under the dome ogni tessuto connettivo
democratico si sfalda, e la città è assoggettata a un Capo, il ricco
consigliere comunale detto Big Jim, occulto fabbricante e spacciatore
industriale di metanfetamina. Per lui l’isolamento dato dalla cupola è l’occasione
per mettersi al riparo dai guai giudiziari e rafforzare smisuratamente il suo
potere. Ricorda qualcuno?
Mentre l’ambiente dentro la cupola è sempre più opaco e inquinato
e il Male prolifera in ogni forma, Big Jim realizza passo dopo passo la sua
tirannia personale: manipola la verità dei fatti, istiga alla paura, alterna
seduzione e violenza con apposite squadracce, chiude l’unico giornale della
città e raziona il cibo e la luce elettrica. Fino al delirio di contrapporsi al
resto dell’America. Che importa se la luce del sole è filtrata da nuvole spesse
di smog, e al posto di forme e colori di ciò che prima era la natura c’è solo una
terra desolata; per Big Jim anche la fine del mondo è una favola messa in giro
da froci e comunisti. E l’horror si rivela il genere narrativo più consono a descrivere
la realtà contemporanea.
(pubblicato su Venerdì di Repubblica del 19 luglio 2013)
P.S. In realtà, vista la prima puntata, sono stato piuttosto deluso: si può vedere, ma lo stile è terribilmente televisivo, nel senso più invecchiato del termine. E pensare che avevo cenato in fretta, nella campagna maremmana in cui sono in vacanza, per andare in una casa a vederlo... Perché le versioni filmate dei capolavori di Stephen King sono condannate a essere così spesso mediocri?
P.S. In realtà, vista la prima puntata, sono stato piuttosto deluso: si può vedere, ma lo stile è terribilmente televisivo, nel senso più invecchiato del termine. E pensare che avevo cenato in fretta, nella campagna maremmana in cui sono in vacanza, per andare in una casa a vederlo... Perché le versioni filmate dei capolavori di Stephen King sono condannate a essere così spesso mediocri?
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