9/07/2012

Questa guerra mondiale chiamata "crisi" (un appello a trovare le parole per dirla)


   Nel suo film Il primo uomo, Gianni Amelio attribuisce al bambino Albert Camus questa domanda alla madre: “Chi sono i poveri?” Lei: “Sono quelli come noi”. Il bambino è sollevato: “Se i poveri siamo noi, allora va tutto bene”. Non mi soffermo sulla portata etica immensa di questa bellissima frase. Sto cercando di capire la portata di questa famosa crisi economica che investe l’Europa e che nessuno sembra saper descrivere fuori dal pensiero unico e dal lessico tecnocratico finanziario.
   Alcuni giorni fa, parlando della crisi con l’amico Tim Willocks, scrittore inglese che abita in Irlanda, ci siamo accorti con disagio di non trovare le parole. Come se tra gli effetti della crisi (o i suoi moventi?) ci fosse anche annichilire il senso critico e l’immaginazione; come se la finanza non avesse fagocitato solo l’economia, ma anche la politica, la democrazia, il linguaggio. Ma è il compito degli scrittori coniare parole, immaginare mondi possibili, dare nuove diverse declinazioni di “realtà”. Idea, allora, di lanciare un passaparola, se non un appello, agli scrittori europei: scrivere ognuno qualcosa su questa “crisi” che sta modificando il mondo.
   Intanto John Berger, scrittore inglese che vive in Francia, su le Monde (20/7/12) ha definito la “crisi” una tirannia mondiale, distinta da quelle passate per l’assenza di un volto del tiranno. E’ un nuovo dispotismo, conferma il filosofo Jean-Clet Martin, sovranazionale come vuole la globalizzazione: da quale luogo virtuale o trascendentale le agenzie di rating danno e tolgono ai Paesi europei le loro famose triple A? In tutti i casi da un luogo immune dalla politica. Forma linguistica di questo dispotismo è l’imperativo contraddittorio (double bind, direbbe Gregory Bateson), cioè “una regola di fronte a cui la situazione si aggrava quando le si obbedisce, e per effetto di averle obbedito”. Un Paese che seguisse i criteri dell’agenzia Standard & Poor’s per meritare la AAA colerebbe a picco, creando disoccupazione e impoverimento. Come la Grecia, modello per gli altri Paesi detti pigs. Tener conto delle ingiunzioni del dispotismo finanziario porta a una spirale infernale che glorifica gli interessi della speculazione contro quelli dell’economia “reale”, basata sull’azione degli uomini.
   Cosa c’è di più temibile in questa crisi? Che saremo tutti più poveri? No, il problema è che i poveri sono sempre gli “altri”. Allora “crisi” è un eufemismo, e quella “rivolta dei ricchi contro i poveri”, come definì schiettamente gli anni ’80 il grande scrittore Max Frisch, è diventata ora una guerra mondiale.

(articolo uscito sull'ultima pagina - "zona critica" - di Venerdì di Repubblica del 7 settembre 2012)  

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