Due parole a caldo, se no non le dico più. Di Roberto Roversi leggerete ,spero, nei luoghi appositi, tutte le opportune informazioni (grandissimo poeta, ma anche per esempio direttore responsabile del giornale Lotta continua in anni difficili). Io vi dico che Roberto Roversi era proprio come lo vedete in questa foto, era così, così limpido. Era uno degli ultimi amici anziani, maestro di fermezza, di sincerità. Di serietà, vorrei dire, nel vivere. Ma non lo vedevo più, non ho risposto ai suoi inviti di questi ultimi anni e mi dispiace molto. (Ma è lui ad aver scritto: "E' inutile chiedere "resta" / se qualcuno vuole partire"). Lo conobbi che avevo 19 anni e stavo a Bologna, e lo andavo a trovare nella sua libreria, soprattutto quando ero triste e desolato, quando mi sentivo troppo solo. Lì potevo restare anche in silenzio, anche a lungo. Accompagnai da lui l'amico Carlo Bordini col manoscritto di Strategia con la sua storia pazzesca alle spalle (all'origine del suo poema che divenne libro), e fu l'inizio per loro di una bella relazione... Una sera a casa sua mi parlò del suo amore per la pittura di Pollock, eccetera eccetera. Ma basta ricordi personali. Leggetelo, leggete le sue poesie: anche se era uno dei più importanti poeti italiani dell'ultimo secolo ha sempre rifuggito gli editori importanti e valorizzati, e quindi non sarà facilissimo trovare la sua opera, ma cercatela e la troverete. Nel 2008 per l'editore luca sossella è uscita, a cura di Marco Giovenale, una raccolta di suoi testi magnifici, dal 1059 al 2004, col titolo così splendidamente suo e così assurdamente umile: "Tre poesie e alcune prose".
9/15/2012
9/07/2012
Questa guerra mondiale chiamata "crisi" (un appello a trovare le parole per dirla)
Nel
suo film Il primo uomo, Gianni Amelio attribuisce al bambino
Albert Camus questa domanda alla madre: “Chi sono i poveri?” Lei: “Sono quelli
come noi”. Il bambino è sollevato: “Se i poveri siamo noi, allora va tutto
bene”. Non mi soffermo sulla portata etica immensa di questa bellissima frase.
Sto cercando di capire la portata di questa famosa crisi economica che investe
l’Europa e che nessuno sembra saper descrivere fuori dal pensiero unico e dal
lessico tecnocratico finanziario.
Alcuni giorni fa, parlando della crisi con l’amico Tim Willocks,
scrittore inglese che abita in Irlanda, ci siamo accorti con disagio di
non trovare le parole. Come se tra gli effetti della crisi (o i suoi moventi?)
ci fosse anche annichilire il senso critico e l’immaginazione; come se la finanza non avesse
fagocitato solo l’economia, ma anche la politica, la democrazia, il linguaggio.
Ma è il compito
degli scrittori coniare parole, immaginare mondi possibili, dare nuove diverse
declinazioni di “realtà”. Idea, allora, di lanciare un passaparola, se non un
appello, agli scrittori europei: scrivere ognuno qualcosa su questa “crisi” che
sta modificando il mondo.
Intanto John Berger, scrittore inglese che vive in Francia, su le Monde
(20/7/12) ha definito la “crisi” una tirannia mondiale, distinta da quelle
passate per l’assenza di un volto del tiranno. E’ un nuovo dispotismo, conferma
il filosofo Jean-Clet Martin, sovranazionale come vuole la globalizzazione: da
quale luogo virtuale o trascendentale le agenzie di rating danno e tolgono ai
Paesi europei le loro famose triple A? In tutti i casi da un luogo immune dalla
politica. Forma linguistica di questo dispotismo è l’imperativo contraddittorio
(double bind, direbbe Gregory Bateson), cioè “una regola di
fronte a cui la situazione si aggrava quando le si obbedisce, e per effetto di
averle obbedito”. Un Paese che seguisse i criteri dell’agenzia Standard &
Poor’s per meritare la AAA colerebbe a picco, creando disoccupazione e
impoverimento. Come la Grecia, modello per gli altri Paesi detti pigs.
Tener conto delle ingiunzioni del dispotismo finanziario porta a una spirale
infernale che glorifica gli interessi della speculazione contro quelli
dell’economia “reale”, basata sull’azione degli uomini.
Cosa c’è di più temibile in questa crisi? Che saremo tutti più poveri? No,
il problema è che i poveri sono sempre gli “altri”. Allora “crisi” è un
eufemismo, e quella “rivolta dei ricchi contro i poveri”, come definì
schiettamente gli anni ’80 il grande scrittore Max Frisch, è diventata ora una guerra
mondiale.
(articolo uscito sull'ultima pagina - "zona critica" - di Venerdì di Repubblica del 7 settembre 2012)
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