Nel geniale romanzo The Dome, Stephen King ha descritto l’instaurarsi in una città isolata di un potere arrogante e accentratore, un feudalesimo provinciale che assomiglia al regime politico-mediatico dell’Italia in questi anni. A Parma, ultima città di indignati in ordine di tempo, dopo Napoli e Milano, un potere del tutto simile si sta sfaldando, anche se nessun Pisapia è all’orizzonte.
Una città intontita da anni di governo di destra all’insegna della modernizzazione, tra truffe e crac finanziari, omertà e corruzioni, si sveglia soffocata dai debiti prima che dagli scandali, sull’orlo del baratro economico, se già non cammina sospesa sul vuoto come nei cartoni animati. Parmalat non ha insegnato niente. Se, come titolava The Economist, Berlusconi è “l’uomo che ha fottuto un Paese” (“The man who screwed an entire country”) il sindaco Vignali pare l’uomo che ha fottuto (screwed) una città. Di fronte all’arresto dei suoi uomini più fidati, dirigenti del Comune, ha detto soltanto: “non lo sapevo”. E questo, dopo anni di passività da spettatori televisivi, ha fatto davvero arrabbiare i parmigiani. In una pagina su Facebook (“Vignali non lo sa”) fanno a gara nell’attribuirgli frasi più vere che finte: “I dirigenti del Comune da lui nominati intascavano mazzette. Vignali: non lo sapevo”. “Costruire un inceneritore in stato di abuso edilizio è reato. Vignali: non lo sapevo”. “Hanno incastrato Roger Rabbit. Vignali: non lo sapevo”...
"Popolo inquieto e incline al tumulto”, scriveva Bruno Barilli ne Il paese del melodramma. Con quelle parole e un sospiro di nostalgia terminavo tre anni fa un reportage da Parma all’epoca del pestaggio da parte dei vigili urbani dello studente ghanese Emanuel Bonsu, reo di attraversare un parco per recarsi alle scuole serali. La trasformazione dell’ex capitale, ducale ma antifascista, in una cittadina dell’Alabama, produsse le prime crepe. Ma era anestetizzata dalla movida e dall’happy hour, la sbronza globalizzata nelle vie del centro storico. Che erano poi, unite al culto televisivo dell’immagine, i modelli culturali del sindaco Vignali, già PR di una discoteca. La movida c’è ancora, ma è ormai una deriva. Gli indignati di Parma, giunti il 5 luglio alla loro terza manifestazione contro “ladri, corrotti, arroganti e affaristi”, hanno promosso un “cacerolazo parmigiano” (da cacerola, “pentola per stufato”), forma sudamericana di protesta con pentole, coperchi e cucchiai di legno. Quale miglior simbolo degli utensili di casa per riappropriarsi della città?
Ritrovo a Parma una tensione palpabile malgrado l’afa e il silenzio, malgrado il clima di festa finta, le kermesse reclamizzate dai totem sparsi per il centro, come se fosse il palinsesto di un tv commerciale o un portale di Internet. C’è consapevolezza nell’aria dei quasi 700 milioni di debiti, in larga parte nascosti nei bilanci delle società partecipate del Comune, come l’STT (Società per la Trasformazione del Territorio: ha sponsorizzato tra l’altro il film di Vittorio Salemme girato a Parma sui vigili urbani per riabilitarne l’immagine). L’opposizione l’ha saputo solo pochi giorni fa: anche la sinistra qui è imbalsamata, incapace di proporre diversi modelli culturali, stili di vita e di abitare. L’assessore alla cultura (a Parma tutt’uno coi “grandi eventi”) ha dato le dimissioni, ma lo spettacolo più partecipato è la piazza, il dato politico nuovo nella città – sottolinea William Gambetta, storico dei “movimenti” nell’Archivio omonimo: “un movimento trasversale, di cui le centinaia di cittadini che manifestano incarnano un sentire diffuso”.
Dopo la notte degli undici arresti – quella di San Giovanni, in cui a Parma si mangiano i tortelli d’erbetta e si aspetta la rugiada - mentre la Guardia di Finanza era negli uffici del Comune, la gente si radunò spontaneamente sotto i portici del municipio: operai, insegnanti, liberi professionisti, mamme coi bambini o col cane, di fronte ad agenti in tenuta antisommossa. Protestavano contro lo sperpero di denaro pubblico e chiedevano le dimissioni del sindaco, barricato fino a tarda sera nel suo ufficio. Un cartello diceva: “San Giovanni svela gli inganni”. Gli arrestati, uomini scelti dal sindaco, facevano la cresta su tutto, dal verde pubblico ai canili, dalle luminarie di natale alle rose sui viali; oppure intascavano tangenti per lavori mai eseguiti. Gli indignati hanno portato mazzi di rose: ”Le rose che avete rubato ve le regaliamo noi”.
Rose e Rosi. Tra gli arrestati c’è il comandante dei famosi vigili urbani, il romano Jacobazzi, che oltre a intascare mazzette si sarebbe fatto restaurare a spese dei contribuenti parmigiani il suo giardino a Santa Marinella. L’accusa di concussione viene da intercettazioni telefoniche che mostrano la sua sottomissione ai potenti (parole del procuratore La Guardia): si scusò coll’avvocato del patron di Parmacotto, il roseo industriale del prosciutto Marco Rosi, per una multa comminata al suo “dehors” - veranda in ferro e vetro con tavoli, e l’insegna della sua salumeria - e redarguì l’onesto funzionario. L’avvocato Cecilia Cortesi Venturini, una degli indignati, mi dice la sua amarezza nell’apprenderlo: fu lei a promuovere la petizione contro quell’abuso edilizio, e di fronte all’ignavia del Comune mosse una causa civile al Tar. Simulacro anche suo malgrado dell’arroganza dei potenti, quel dehors dell’ex presidente degli industriali è stato costruito dagli stessi architetti del nuovo criticatissimo volto di un altro simbolo di Parma, l’antico mercato della Ghiaia, quasi un’agorà; cancellato per far posto a un incrocio tra la pensilina di un autobus e uno skilift.
Parma è cotta, come il prosciutto, e per salvarla occorre una ricetta nuova. Non una di quelle per riciclare gli avanzi, ma una nuova davvero, con un nuovo ingrediente. Oltre al malaffare e al cattivo gusto, qualcos’altro ha creato tensione e offeso la città Medaglia d’oro della Resistenza. L’apologia del fascismo di una lapide ai caduti della Repubblica di Salò collocata nel cimitero della città; l’apertura di una Casa Pound nel popolare e rosso quartiere Montanara, dove qualche giorno fa è stata imbrattata una lapide a ricordo dei partigiani, sono segnali gravi. Né si dimentica la foto del consigliere regionale Pdl Luigi Giuseppe Villani, vicepresidente della potente società partecipata IREN (il cui direttore è tra gli arrestati di giugno) che fa il saluto romano a Predappio.
La comprovata sottomissione dell’amministrazione politica ai poteri economici, che già controllano l’informazione, fa di quello di Parma "un potere feudale basato su rapporti fiduciari”, conferma lo scrittore Valerio Varesi. “Se sei eletto non rispondi ai cittadini, ma come un vassallo al tuo capo, a chi ti ha messo lì, al potere”. Non contano le istituzioni, le leggi, la re-pubblica, ma un uomo al comando che sceglie e coopta. Fa eccezione il giornale online www.parma.repubblica.it , che da tre anni svela scandali e ospita segnalazioni e denunce dei lettori: un gruppo di professionisti per strada legati da incontri e tecnologie, senza redazione né carta, svincolati dai poteri. Coincidenze: il suo responsabile Antonio Mascolo era cronista giudiziario all’epoca dello scandalo urbanistico a Parma negli anni ‘70, reso pubblico dalla lenzuolata di Cristina Quintavalla, e a cui l’attuale scandalo è spesso paragonato. L’allora sostituto procuratore era Gerardo Laguardia, che oggi ha in mano l’inchiesta tangenti dell’amministrazione Vignali. Intanto, al Teatro Regio c’è un concerto di Ornella Vanoni, al Teatro Due il festival ParmaPoesia: successo di Claudio Santamaria nel reading musicale “La Realtà”, su testi di Pier Paolo Pasolini. La realtà? Quella di Parma è nel suo scollamento: tra le parole e le cose, tra la cultura e la politica, tra entrambe e la vita della gente. La movida continua, i giovani si ubriacano, felici come palline da flipper, e le loro foto escono su riviste patinate. Nuovi locali glamour vengono aperti (non si dice più osteria, ma wine bar) a riempire vuoti con un pieno apparente, a dissolvere passato e futuro in un perpetuo alcoolico presente. La statua recente di Guido Picelli, eroe delle Barricate, giace in un angolo dell’omonima piazza, tra gli extracomunitari e le panchine. All’inizio di via Farini un ragazzo di colore, garbato e ben vestito, vende copie di “Lotta comunista”, coi modi gentili, suadenti e incongrui di un Testimone di Geova.
(reportage uscito su Venerdì di Repubblica col titolo "Parma: la nuova rivolta civile" il 15 liuglio 2011)