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8/10/2009

Sul silenzio

Quando Blaise Pascal scriveva che i problemi dell’umanità vengono dall’incapacità dell’uomo di stare solo in una stanza, naturalmente intendeva senza l’Ipod, solo col suono del proprio respiro, il battito del cuore, il proprio esserci. Come gli spettatori costernati della Scala di Milano durante il celebre, silenzioso concerto di John Cage. Per noi fruitori di giornali e di media il silenzio è strano, fa paura come il vuoto, che infatti arredatori, urbanisti e geometri comunali non cessano di riempire con qualcosa. Una volta, a una trasmissione radiofonica in cui mi si chiese di parlare di un mio soggiorno nel deserto, restai in silenzio per suggerirne l’esperienza. Per poco non suonò l’allarme.
In un racconto di Heinrich Boll, La raccolta di silenzio del dottor Murke, il personaggio, che lavora in una radio, registra scampoli di silenzio e li monta su un nastro per ascoltarli a casa, di nascosto, come musica. “State zitti, cinque minuti”, dice la bellissima poesia in romagnolo di Raffaello Baldini. Che scopre un silenzio nel silenzio, oltre al dualismo col rumore.
Dal silenzio nasce la poesia, che ad esso anela di tornare. Dai “sovrumani silenzi” e “profondissima quiete” di Giacomo Leopardi al silenzio della cucina ne La neve di Vladimir Holan, dove “bevi del vino” e “guardi dalla finestra l’intima eternità”: “Anche se sulla terra non vi fosse il silenzio, / questo nevicare lo ha già sognato. Sei solo. / Quanto meno gesti. Nulla da mettere in mostra”.
Tornando al deserto, per gli eremiti che vi dimoravano il silenzio era una cosa mistica, ma chiunque può farne l’esperienza. Bruno Hussar (padre Bruno), fondatore della comunità Salaam/Shalom, tra Gerusalemme e la Giordania, costruì nel 1983 un’ecumenica “casa del silenzio” a forma di mezza sfera, convinto che il silenzio sia alla portata di tutti, anche agli atei. Insegnò che l’ebraico ha due parole per dire il silenzio: sheket, o assenza di rumore, e dumìa, il silenzio profondo, come appare nella Bibbia (Libro dei Re, 19, 12) a designare “una brezza leggera, la voce di un sottile silenzio”, e nel Salmo 65, “lode a Dio”. Chi è stato in un deserto sa cosa significhi, ma forse è l’idea di Dio a essere metafora del silenzio, non viceversa.
“Tanto rumore per nulla”, come la commedia di Shakespeare? Il vero deserto è la solitudine affollata e strepitante in cui nessuno ascolta nessuno, il mondo come una televisione che non viene mai spenta. Italo Calvino, nel romanzo Palomar, propone questa etica: “In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio”.

(articolo uscito su l'Unità di oggi, con bellissime illustrazioni e altri allegati, dall spartito di Cage al primo piano di Buster Keaton, dalla canzone di Mina a quella di Simon e Garfunkel, ecc. ecc.)