9/04/2009

Francesco Lotoro, il pianista che salva e riporta all'aria la musica sommersa dai lager

(Su Venerdì di Repubblica oggi in edicola la mia intervista a Francesco Lotoro)

Come sarebbe la musica contemporanea senza la scomparsa di gran parte dell’intelligentsia musicale ebraica d'Europa nei lager nazisti? Prima di morire di stenti o nelle camere a gas, molti continuarono a comporre musica, addirittura a suonarla. Sono perdute per sempre le opere composte lì, nell’inferno? Ma soprattutto: davvero è stato possibile fare musica nei campi di concentramento?
La risposta all’ultima domanda è sì. Qualcuno, da vent’anni, dedica la propria vita a salvare quelle musiche sommerse, al limite dell’indecifrabile, come la carta igienica scritta a pentagramma con la carbonella su cui Rudolf Karel, già allievo di Dvorak, scrisse un “Nonet”, partitura per nove strumenti, poco prima di morire di dissenteria. A scovare musica con passione da archeologo, farla evadere dalla damnatio memoriae, interpretarla come filologo e registrarla su disco, cioè “restituirla all’aria, così come deve vivere la musica”, è un pianista e ricercatore di Puglia, Francesco Lotoro.
Ha studiato a Budapest con Kornel Zempleni, si è perfezionato con maestri come Aldo Ciccolini, insegna al Conservatorio di Rodi Garganico, dirige l’Orchestra Musica Judaica ed è responsabile culturale dell’antica sinagoga Scolanova di Trani, da poco ripristinata nello splendido centro sull'Adriatico famoso per la bianca cattedrale. Se il 6 settembre la Giornata Europea della Cultura Ebraica, dedicata alle feste e tradizioni ebraiche, musiche comprese, avrà come città capofila proprio Trani, e nello stesso periodo si svolgerà un Festival della cultura ebraica in tutta la Puglia, forse tra le ragioni della scelta c’è anche l’attività di Francesco Lotoro. Il quale, oltre alla passione musicale, ha contribuito al risveglio dell’identità ebraica in Puglia, che ebbe a Trani una florida e colta comunità dal X secolo alla cacciata degli Ebrei nel 1541. Far rivivere l’ebraismo dimenticato, e salvare ciò che è sepolto o nascosto come ricercatore musicale, hanno per Lotoro molte analogie. Si chiama Enciclopedia della Musica Concentrazionaria (la musica composta nei campi di concentramento tra il 1933 e il 1945), il lavoro di incisione e pubblicazione che sta portando avanti da anni senza sovvenzioni con l’etichetta KZ Musik, e il cui piano dell’opera prevedere 48 volumi-CD. Tutto questo avviene in Puglia, non a New York. Un lavoro paziente e quasi in solitudine.
Come ha avuto inizio la sua ricerca?
Ero a Praga nel 1990/91, e mi colpì la coincidenza della data di morte di tanti compositori, 17 ottobre 1944: Pavel Haas, Viktor Ullmann (entrambi della scuola di Schoenberg) e tanti altri finiti nelle camere a gas. Ma anche morti per altri motivi, come Gideon Klein, Rudolf Karel, Zikmund Schul, Emile Goué... Pensavo di trovare una decina di opere musicali, e oggi la mia ricerca ha inventariato 4000 partiture nate nei campi. Raccolgo e registro opere musicali composte in ogni tipo di lager, anche quelle dei non ebrei, dai politici ai Sinti e ai Rom, dai preti cattolici ai quaccheri, Messe, opere di cabaret e canti di lotta, come la Sinfonia n. 8 di Erwin Schulhoff ispirato al Manifesto del Partito Comunista, vero e proprio Oratorio laico. La fenomenologia musicale concentrazionaria è molto complessa, scritta nelle condizioni più tragiche e sopravvissuta fino a noi in modi desueti da luoghi in cui è tuttora impensabile che sia stato possibile fare musica.
E' infatti sorprendente...
Nei campi di concentramento come Theresienstadt, preambolo a quelli di sterminio, la musica era usata come elemento di distensione e ricreazione, controllata ma assecondata, perfino con la fornitura di strumenti musicali e di carta da musica. Il campo di sterminio è diverso, si arriva per essere eliminati fisicamente dopo una rapida selezione (il cantante Karel Berman si salvò dicendosi operaio). Noi conserviamo traccia di questa musica grazie a un elemento inconsueto, la memoria: melodie nascevano sui treni da Salonicco, perfino nei tragitti che portavano alle camere a gas, e in un modo o nell’altro ci sono pervenute, immagazzinate nella mente dei sopravvissuti o testimoni”.
E' la magia, il potere della testimonianza...
“Sì, e della memoria. A volte le si dà un significato labile, ma nelle persone che ho incontrato ho trovato quasi sempre una memoria limpida. Questo patrimonio fa parte del vissuto musicale, anche senza carta. C’erano musicisti preposti all’intrattenimento musicale degli ufficiali che hanno arrangiato pezzi di Mozart o di Wagner, e ci sono pervenuti. Da Auschwitz e Birkenau ci sono arrivate partiture, altre si sono perse. Anche nei campi di sterminio si compose musica. Zimon Laks, polacco emigrato a Parigi, poi deportato, fece musica in un blocco a Birkenau vedendo la fila di chi andava nelle camere a gas. Perse là tutte le carte, e ricostruì a memoria solo tre “Polonaises” che arrangiò per quartetto d’archi. La cosa drammatica è che anche i sopravvissuti stanno scomparendo, e che quando ho avviato questa ricerca molti non ho potuto incontrarli.
Come si svolge il suo lavoro di ricerca?
“La musica vive nell’aria, se io trovo la carta, non ho trovato tutta la musica. Se trovo un dipinto, una scultura, ho trovato l’opera d’arte. La musica deve passare dalla carta all’aria, e poi ancora alla carta. Occorre decifrare la grafia, spesso al limite della scarabocchio, vedere in uno sgorbio un diesis, leggere i segni grafici della cattività. Ho passato notti a studiarla. Oppure devo andare a trovare il sopravvissuto che vive per esempio a Gerusalemme, dopo averlo faticosamente cercato, perché mi canti al registratore tutto quello che ricorda, poi a casa lo riporto al computer, o alla carta. Io sono un ricercatore, un musicista, ma occorre ora qualcuno che curi un archivio di tutto questo materiale, troppo per le mie risorse”.
“Grazie a Dio funziona il passaparola, la solidarietà, e passa il messaggio che questa musica deve emergere, essere salvata. Penso sempre che, se questa musica non la suoniamo, rimane nel campo di concentramento. Se non possiamo suonarla in un concerto, almeno la registriamo. Faccio un lavoro gigantesco per restituire alla musica la sua normalità”.

11 commenti:

flavia ha detto...

Commovente leggere questo articolo per me che vivendo a Dresda, passo spesso da Banhof Neustadt dove c'è una stele commemorativa dei 734 ebrei dresdesi che furono deportati de questa stazione verso il campo di concentramento di Theresienstadt.
La memoria ebrea fa parte della cultura tedesca : non si puo' vivere in questo paese e non esserne contaminati.
Non conoscevo questo tipo di iniziativa di Francesco Lotoro che in questo momento coglie tutta la mia curiosità. Difatti sabato prossimo andro' ad un concerto qui a Dresda organizzato dalla Neue Jüdische Kammerphilarmonie Dresden che ha come prerogativa quella di avere un repertorio appunto di musicisti ebrei perseguitati o probiti dal nazismo :
http://www.juedische-philharmonie-dresden.de/the-orchestra/repertoire.html.en
Ringrazio vivamente per la segnalazione italiana.

Clarita ha detto...

Ho visto da vicino la semplicità e la grandezza di Francesco Lotoro.
Come ha organizzato la Giornata Europea della Cultura Ebraica 2009 a Trani città capofila.
Kol ha kavod, complimenti
Clara E. Báez

Anonimo ha detto...

grazie clarita. avrei dovuto esserci, in effetti ma non ho potuto. shalom, un caro saluto.
beppe s.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

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Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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monica ha detto...

Bellissima storia Beppe... grazie... <3

Anonimo ha detto...

grazie Beppe per aver incontrato per noi Francesco Lotoro e averci ricordato che la musica , come soffio silenzioso della vita , va sempre pronunciata quando arriva in prossimità della bocca o in prossimità di un pensiero, perchè è la vita stessa che si esprime.
Stefania Paperina Maggio