9/24/2013

Grazie a Alvaro Mutis

   Sia grazie, e grazia, al grande narratore Alvaro Mutis, i cui titoli dei romanzi già rapiscono - "Trittico di mare e di terra", “Abdul Bashur, sognatore di navi”, "Ilona viene con la pioggia” – figuratevi leggerli e attraversarli. Inventore di una serie di nuovi eroi esistenziali, avventurieri nomadi e visionari che s’incrociano nei suoi romanzi assumendo di volta in volta il ruolo di protagonisti, narratori o testimoni delle storie; mitografo di una geografia poetica che collega Bergen a Madrid, Cartagena a Roma e Kuala Lumpur a Istanbul ecc., Mutis è stato soprattutto un cantore appassionato dell’amicizia, sentimento che lega i disparati avventurieri che popolano i suoi romanzi. Come Maqroll il Gabbiere (l’addetto alla manovra delle vele di gabbia, sulla sommità di alberi e pennoni), che quanto a poetico sradicamento ricorda il marinaio Corto Maltese, di cui condivide la situazione di trovarsi quasi sempre a terra e non in mare; come il pittore Alejandro Obregon, che voleva ritrarre il vento che non lascia tracce; come Abdul Bashur, o come lo scrittore Gabriel Garcia Marquez, amico di Mutis che compare come personaggio in alcune storie. Non importa se veri o immaginari, vivono tutti la dimensione del mito e della letteratura, ossia una vita più alta e consapevole, amica del sogno.
  Alvaro Mutis è stato lo scrittore più generoso nel mitizzare e rimitizzare di continuo, trasformandola e facendola lievitare, la vita e la cosiddetta realtà. Lo faceva con un costante sorriso di consapevolezza sulle labbra, consapevolezza soprattutto che l’importante è narrare, e che le storie servono a mantenere vivo il narrare, non il contrario; a dare fiducia a quella dimensione al tempo stesso così folle e terapeutica, così sovranamente inutile e necessaria, che è la letteratura.
(uscito su l'Unità del 24 settembre 2013)

9/13/2013

Hello

Mi scuso della prolungata assenza di parole. Un blog muto silenzioso è una cosa strana, però ora va così. 
Non è perché in questo periodo sono in India (ogni tanto ho il wifi, come adesso, a Puri, sull'Oceano Indiano), è perché sia qui che in Italia trovo molto difficile "pubblicare" parole che siano non dico "giuste" (non lo pretendo molto spesso), ma di cui possa non provare il disagio della vergogna, dopo quello dell'inadeguatezza e della non opportunità; o di cui almeno possa non vergognarmi dopo pochissimo tempo...
Aspetto poi di avere parole (e l'opportunità di offrirle) riguardo alle quali possa sperare che non mi si cancellino immediatamente nel rumore di fondo, tra tutte le altre parole che sgomitano nella semiosfera come batteri, o come pezzi di plastica nelle discariche; parole che, viceversa, non  abbiano la presunzione di non appartenere alla grande discarica cui tutti perveniamo prima o poi...

   Va beh, ci sentiamo, ci leggeremo.
   Comunque sia, correggo e rivedo il malloppo di uno strano romanzo che entro questo mese consegnerò a chi di dovere. Alla mia destra l'Oceano Indiano con le sue onde lunghissime e continue sembra immobile. Anche l'immenso a volte sembra limitato, e lo è, perché è il guardare stesso, il vedere, che è fatto di limiti, attestazione di limiti - come tutti i sensi, mente compresa. (Questa non è filosofia).