9/15/2012

Per Roberto Roversi

Due parole a caldo, se no non le dico più. Di Roberto Roversi leggerete ,spero, nei luoghi appositi, tutte le opportune informazioni (grandissimo poeta, ma anche per esempio direttore responsabile del giornale Lotta continua in anni difficili). Io vi dico che Roberto Roversi era proprio come lo vedete in questa foto, era così, così limpido. Era uno degli ultimi amici anziani, maestro di fermezza, di sincerità. Di serietà, vorrei dire, nel vivere. Ma non lo vedevo più, non ho risposto ai suoi inviti di questi ultimi anni e mi dispiace molto. (Ma è lui ad aver scritto: "E' inutile chiedere "resta" / se qualcuno vuole partire"). Lo conobbi che avevo 19 anni e stavo a Bologna, e lo andavo a trovare nella sua libreria, soprattutto quando ero triste e desolato, quando mi sentivo troppo solo. Lì potevo restare anche in silenzio, anche a lungo. Accompagnai da lui l'amico Carlo Bordini col manoscritto di Strategia con la  sua storia pazzesca alle spalle (all'origine del suo poema che divenne libro), e fu l'inizio per loro di una bella relazione... Una sera a casa sua mi parlò del suo amore per la pittura di Pollock, eccetera eccetera. Ma basta ricordi personali. Leggetelo, leggete le sue poesie: anche se era uno dei più importanti poeti italiani dell'ultimo secolo ha sempre rifuggito gli editori importanti e valorizzati, e quindi non sarà facilissimo trovare la sua opera, ma cercatela e la troverete. Nel 2008 per l'editore luca sossella è uscita, a cura di Marco Giovenale, una raccolta di suoi testi magnifici, dal 1059 al 2004, col titolo così splendidamente suo e così assurdamente umile: "Tre poesie e alcune prose".

9/07/2012

Questa guerra mondiale chiamata "crisi" (un appello a trovare le parole per dirla)


   Nel suo film Il primo uomo, Gianni Amelio attribuisce al bambino Albert Camus questa domanda alla madre: “Chi sono i poveri?” Lei: “Sono quelli come noi”. Il bambino è sollevato: “Se i poveri siamo noi, allora va tutto bene”. Non mi soffermo sulla portata etica immensa di questa bellissima frase. Sto cercando di capire la portata di questa famosa crisi economica che investe l’Europa e che nessuno sembra saper descrivere fuori dal pensiero unico e dal lessico tecnocratico finanziario.
   Alcuni giorni fa, parlando della crisi con l’amico Tim Willocks, scrittore inglese che abita in Irlanda, ci siamo accorti con disagio di non trovare le parole. Come se tra gli effetti della crisi (o i suoi moventi?) ci fosse anche annichilire il senso critico e l’immaginazione; come se la finanza non avesse fagocitato solo l’economia, ma anche la politica, la democrazia, il linguaggio. Ma è il compito degli scrittori coniare parole, immaginare mondi possibili, dare nuove diverse declinazioni di “realtà”. Idea, allora, di lanciare un passaparola, se non un appello, agli scrittori europei: scrivere ognuno qualcosa su questa “crisi” che sta modificando il mondo.
   Intanto John Berger, scrittore inglese che vive in Francia, su le Monde (20/7/12) ha definito la “crisi” una tirannia mondiale, distinta da quelle passate per l’assenza di un volto del tiranno. E’ un nuovo dispotismo, conferma il filosofo Jean-Clet Martin, sovranazionale come vuole la globalizzazione: da quale luogo virtuale o trascendentale le agenzie di rating danno e tolgono ai Paesi europei le loro famose triple A? In tutti i casi da un luogo immune dalla politica. Forma linguistica di questo dispotismo è l’imperativo contraddittorio (double bind, direbbe Gregory Bateson), cioè “una regola di fronte a cui la situazione si aggrava quando le si obbedisce, e per effetto di averle obbedito”. Un Paese che seguisse i criteri dell’agenzia Standard & Poor’s per meritare la AAA colerebbe a picco, creando disoccupazione e impoverimento. Come la Grecia, modello per gli altri Paesi detti pigs. Tener conto delle ingiunzioni del dispotismo finanziario porta a una spirale infernale che glorifica gli interessi della speculazione contro quelli dell’economia “reale”, basata sull’azione degli uomini.
   Cosa c’è di più temibile in questa crisi? Che saremo tutti più poveri? No, il problema è che i poveri sono sempre gli “altri”. Allora “crisi” è un eufemismo, e quella “rivolta dei ricchi contro i poveri”, come definì schiettamente gli anni ’80 il grande scrittore Max Frisch, è diventata ora una guerra mondiale.

(articolo uscito sull'ultima pagina - "zona critica" - di Venerdì di Repubblica del 7 settembre 2012)